
Cosa accadrebbe se la pubblicità diventasse illegale?
Viviamo immersi nella pubblicità. Ma cosa accadrebbe se, da un giorno all’altro, fosse vietata? Un’ipotesi estrema che ci aiuta a riflettere su ciò che davvero conta.
Viviamo per comprare o per capire chi siamo?
La pubblicità non vende solo prodotti. Costruisce desideri, visioni del mondo, persino identità.
Fin da piccoli, siamo educati a pensare che per essere felici, per sentirci all’altezza, dobbiamo possedere qualcosa. Sembra banale, ma è diventato il tessuto invisibile della nostra cultura. Un tessuto che ci avvolge così strettamente da non accorgercene più.
Cosa succederebbe se la pubblicità fosse proibita?
Se i cartelloni sparissero, se i video tra un brano e l’altro non interrompessero più le nostre playlist, se i post sponsorizzati non si mischiassero ai pensieri degli amici? All’inizio forse proveremmo sollievo, ma subito dopo potrebbe arrivare un vuoto. Quel vuoto potrebbe rivelarci quanto abbiamo delegato alle aziende il compito di darci un’identità.
In un mondo senza pubblicità, potremmo ritrovare il tempo per ascoltarci. Per riscoprire cosa ci muove davvero. Senza slogan. Senza call to action. Solo verità, anche se imperfette.
L’etica del desiderio: possiamo vivere senza promuovere nulla?
La pubblicità, in sé, non è il male. È uno strumento. Come un coltello: può tagliare il pane o ferire. Il problema nasce quando lo strumento diventa fine, e non più mezzo. Quando il marketing si dimentica dell’umano e parla solo al consumatore.
Rendere illegale la pubblicità, come ipotizza provocatoriamente Simone Sinek, è un’estremizzazione utile a far emergere una verità: abbiamo bisogno di spazi di respiro. Di luoghi dove le persone non siano continuamente esposte al messaggio "non sei abbastanza finché non compri questo". In fondo, non è il desiderio che ci fa male. È l’industria del desiderio a essere tossica.
Ogni giorno aiuto aziende a comunicare. Ma non voglio farlo a qualsiasi costo. Credo in un modo di fare pubblicità che non manipoli, che non urli, che non spinga l’utente a cliccare “per forza”. È possibile. Serve solo più coraggio. E più ascolto.
E se cominciassimo noi, da piccoli gesti quotidiani?
Non serve vietare la pubblicità per iniziare a vivere diversamente. Possiamo essere noi, ogni giorno, a scegliere un altro ritmo. Possiamo smettere di saltare da uno stimolo all’altro, e imparare a restare. A leggere senza interruzioni. A passeggiare senza distrazioni. A parlare, con attenzione.
Anche le aziende possono cambiare. Possono essere utili davvero, non solo sembrare. Possono raccontarsi con rispetto, invece che gridare per emergere. Quando una comunicazione è onesta, gentile, orientata al valore, il cliente lo sente. Non serve neppure convincerlo. Si crea una relazione, non una conversione.
Forse non renderemo illegale la pubblicità. Ma possiamo renderla più umana. Possiamo scegliere di costruire un mondo in cui le persone non vengano prima targetizzate, ma comprese. Un mondo dove comunicare significhi, prima di tutto, prendersi cura.
Spunti da simone.org/advertising